Atmosfera anni ‘90 (non c’erano i cellulari e si lavorava ancora di penna e matita, di fax e ufficio postale) cupa e a tratti inquietante, un giovane detective alle prime armi che sa il fatto suo (e si conquista la stima di un gruppo affiatato di colleghi in cui lui è solamente la “ruota di scorta”), una serie di omicidi raccapriccianti (nel vero senso della parola), riti vudù e un colpevole profondamente disturbato che sfida le forze dell’ordine a suon di versi poetici, in particolare quelli de I fiori del male di Baudelaire, cenni letterari e leggendari trucchi di prestidigitazione. A tutto ciò aggiungiamo un cold case irrisolto che coinvolge direttamente il novello detective. Adoro. A D O R O.
Da dire c’è che di primo acchito tutti questi elementi sembrano slegati tra di loro e ci costringono, a noi poveri lettori, a immaginarci chissà che… poi, però, Thilliez fa una delle sue magie e ogni elemento trova il suo incastro ideale, o quasi. Sì, a essere onesti, alcune spiegazioni risultano un po’ forzate e alcuni aspetti potevano benissimo essere bypassati senza intaccare il quadro d’insieme, che avrebbe funzionato lo stesso, forse anche meglio, ma è Thilliez e, non si sa come mai, alla fine con lui la famosa quadratura del cerchio la si trova.
1991 (pag.468), pubblicato da Fazi Editore, è il primo di una serie che sarà dedicata all’ispettore Frank Sharko e ha un’immensa capacità amarcord che solletica la nostalgia di quanti hanno vissuto gli ultimi anni privi di tecnologia, soprattutto di quella tecnologia oggi forse a tratti invadente che, se da un lato ci facilita la vita, dall’altro ci toglie il gusto di sforzarci, impegnarci, fare fatica, sporcarci le mani.
Sharko è un personaggio vero, autentico ed empatico, che si barcamena in una perenne lotta tra le sue emozioni e il suo senso del dovere. È un personaggio che si evolve con la storia, che da introverso e insicuro diventa un uomo convinto delle sue capacità e delle sue idee, nonostante le ingenuità, gli errori e i segreti.
La storia raccontata, un thriller davvero tosto, è ben costruita, seppur, come dicevo, alcuni elementi mi siano sembrati forzati, e il finale è, lo si vede subito, in perfetto stile Thilliez: psicologico, drammatico, ad effetto.
A colpire è soprattutto la sfera emotiva della vicenda che, se vogliamo, riprende una tematica che oggi potrebbe essere di grande attualità, e l’architettura psicologica attraverso cui agisce il colpevole. Bello davvero. Consigliato.