Amicizie, prime cotte, prime delusioni e disincanto tipico dell’età adulta. Sono questi gli elementi che caratterizzano le pagine di Kala (pp. 456), romanzo d’esordio dell’irlandese Colin Walsh arrivato in Italia grazie a Fazi Editore. Un thriller dai toni cupi e cadenzati che parte però in sordina, con un’eccessiva introspezione dei personaggi, soprattutto nella prima metà del romanzo, e per questo lo svolgersi degli eventi risulta lento e quasi tentennante, come se non sapesse bene dove e come indirizzarsi. La lettura è lenta e dispersiva, si sofferma su capitoli che, all’apparenza dicono poco o nulla. Una cittadina sconvolta da una disgrazia mai del tutto superata, adulti che ripensano a loro stessi da ragazzini: le loro esperienze, positive o negative, il loro legame, cattiverie mai rivelate e sentimenti mai palesati. Difficili rapporti con i genitori, il desiderio di fuga e la scoperta di orribili azioni criminali che vengono accuratamente celate sotto un tappeto di omertà e potere concentrato nelle mani di pochi e pericolosi individui. Insomma, la prima parte del romanzo è, per così dire, molto d’atmosfera, una forse abile diffusione di particolari, indizi, dettagli.
L’atmosfera, però, cambia completamente nella seconda metà, quando il quadro comincia a delinearsi, la tensione a formarsi e a crescere piano piano e i segreti e le macchinazioni dietro la scomparsa di Kala, adolescente leader di un gruppo di amici scomparsa nel 2003, iniziano a venire a galla, ma per arrivare a questo punto bisogna aspettare e stringere i denti. Non mancano le immagini forti e crude, la violenza, in alcuni punti, è descritta in maniera così densa da sembrare quasi palpabile.
Non so, in realtà non so dire se questo libro mi sia piaciuto davvero. Non posso bocciarlo, perché comunque la storia è ben architettata nonostante un inizio lento, ma neppure posso dire che mi sia piaciuto, soprattutto da un punto di vista stilistico. Ho trovato la penna dell’autore immatura e la narrazione costellata da continui intercalari poco sensati (“ho fatto così, tipo”; “ho detto colà, tipo”; “ha fatto questo e quello ecc…”) che avrebbero avuto più presa nei dialoghi, soprattutto con questo “tipo” ripetuto, che infastidivano.
No so… la storia ha del potenziale, ma il modo di scrivere dell’autore non mi ha convinta.
Cinzia Ceriani
Se volete acquistarlo lo trovate qui