Home » Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout

BARTON

Recensione

Devo dire che mi aspettavo certamente di più da questo romanzo. Sono partita a leggerlo con delle aspettative troppo alte, e forse è colpa mia, non lo so, che non sono state pienamente rispettate. L’ho trovato sotto tono per il tipo di argomento trattato e la trama, mi aspettavo molto più risentimento, rabbia o disagio da parte di questa figlia che si trova dopo anni ad incontrare una madre assente e un po’ egoista che oltre agli agi di una vita “normale” non ha saputo neppure elargire stabilità emotiva ai figli, sicurezza o amore. Probabilmente le due cose sono legate, povertà e mancanza di affetto genitoriale, ma mi è parso comunque che la figlia, Lucy, abbia accettato e accetti con troppa benevolenza le mancanze dei suoi genitori, in particolare di sua madre. Come se fosse del tutto normale, se non banale, anche il fatto che non si vedessero da anni. Mi è mancato lo spessore emotivo di una situazione del genere, gli strascichi, quell’impulso irrazionale che porta, in queste situazioni, ad aprire le paratie della diga emozionale. Ho avvertito una carenza, fra queste pagine, tanto che  alla fine mi sono sentita chiedere: “E quindi?” Do comunque tre stelle al romanzo per lo stile narrativo della Strout, fluido, coinvolgente, avvolgente come una coperta calda in una fredda notte invernale.

 

 

 

Trama

In una stanza d’ospedale nel cuore di Manhattan, davanti allo scintillio del grattacielo Chrysler che si staglia oltre la finestra, per cinque giorni e cinque notti due donne parlano con intensità. Non si vedono da molti anni, ma il flusso delle parole sembra poter cancellare il tempo e coprire l’assordante rumore del non detto. In quella stanza d’ospedale, per cinque giorni e cinque notti, le due donne non sono altro che la cosa piú antica e pericolosa e struggente: una madre e una figlia che ricordano di amarsi.
Da tre settimane costretta in ospedale per le complicazioni post-operatorie di una banale appendicite, proprio quando il senso di solitudine e isolamento si fanno insostenibili, una donna vede comparire al suo capezzale il viso tanto noto quanto inaspettato della madre, che non incontra da anni. Per arrivare da lei è partita dalla minuscola cittadina rurale di Amgash, nell’Illinois, e con il primo aereo della sua vita ha attraversato le mille miglia che la separano da New York. Alla donna basta sentire quel vezzeggiativo antico, «ciao, Bestiolina», perché ogni tensione le si sciolga in petto. Non vuole altro che continuare ad ascoltare quella voce, timida ma inderogabile, e chiede alla madre di raccontare, una storia, qualunque storia. E lei, impettita sulla sedia rigida, senza mai dormire né allontanarsi, per cinque giorni racconta: della spocchiosa Kathie Nicely e della sfortunata cugina Harriet, della bella Mississippi Mary, povera come un sorcio in sagrestia. Un flusso di parole che placa e incanta, come una fiaba per bambini, come un pettegolezzo fra amiche. La donna è adulta ormai, ha un marito e due figlie sue. Ma fra quelle lenzuola, accudita da un medico dolente e gentile, accarezzata dalla voce della madre, può tornare a osservare il suo passato dalla prospettiva protetta di un letto d’ospedale. Lí la parola rassicura perché avvolge e nasconde. Ma è nel silenzio, nel fiume gelido del non detto, che scorre l’altra storia. Quella di un’infanzia brutale e solitaria, di una miseria umiliante, di una memoria tanto piú dolorosa perché non condivisa. Oltre la finestra, le luci intermittenti del grattacielo Chrysler, emblema di grandi aspirazioni nella Grande Mela degli anni Ottanta, insieme all’alternarsi del sonno e della veglia e all’avvicendarsi delle infermiere dal nomignolo fiabesco, scandiscono il passare di un tempo altrimenti immobile. Ma il tempo passa. L’isola d’intimità di quei cinque giorni d’ospedale non si ripeterà nella vita di madre e figlia. Molti anni piú tardi la donna è una scrittrice di fama. Ha scelto la parola al silenzio, dopotutto, perché è cosí che può raccontare anche quella storia d’amore. Un amore invalido, mezzo afasico, ma amore senza dubbio. Dalla sua insegnante di scrittura ha appreso che «ciascuno ha soltanto una storia. Scriverete la vostra unica storia in molti modi diversi. Ma tanto ne avete una sola». La donna si chiama Lucy Barton, e questa è la sua.

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