Home » Recensione: Il giallo di Ponte Sisto di Max e Francesco Morini
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Si dice che la pratica aiuta a migliorare, crea esperienza e “fa crescere”, nella vita come nella scrittura.
E di certo nella terza indagine romana del libraio-detective Ettore Misericordia, Il giallo di Ponte Sisto dei fratelli Max e Francesco Morini (Newton Compton, pp. 249) si nota una certa maturazione sia da un punto di vista stilistico che nei personaggi e nell’architettura della trama e del plot, molto più articolata e complessa, sicuramente meno prevedibile rispetto al loro libro d’esordio (Nero Caravaggio, sempre Newton Compton). Di loro mi piace soprattutto il fatto che attraverso le loro storie il lettore scopre, o riscopre, angoli, scorci, “leggende” e antiche meraviglie dimenticate o quasi della capitale.
Grazie alle pagine dei fratelli Morini, infatti, è possibile “vivere” una Roma nuova ed inedita, diversa dai soliti cliché e luoghi comuni, vengono riportati in auge vecchie glorie e storiche ambientazioni poco conosciute o cadute nel dimenticatoio collettivo.
Ad aiutare il lettore in questo viaggio fra le vie della Città Eterna, che tutto è fuorché noioso, una scrittura fluida e “alla mano”, passatemi il termine, a tratti ricercata e abilmente mescolata a termini e modi di dire romaneschi.
Come dicevo qualche riga sopra, anche i personaggi sono maturati dal primo romanzo, ma questa maturazione però mi pare che stia facendo assomigliare troppo Misericordia a Sherlock Holmes e Fango a Watson. Sembrano quasi delle caricature, delle imitazioni “italianizzate”. Per rendersi conto di questo è sufficiente osservare il modo di comportarsi e di rapportarsi all’indagine del primo, Misericordia, (basta leggere una qualsiasi avventura di Holmes per notare la somiglianza fra i due personaggi) e l’essere un po’ goffo, all’apparenza superficiale e non sempre all’altezza del secondo, Fango, che, come accade nei gialli di Doyle, coincide con la voce narrante, quindi con Watson (nome con cui, casualità, Fango viene soprannominato).
L’inefficienza della polizia (Ceratti, irascibile e dalle scarse doti investigative, non risolve un caso che uno senza Misericordia) è un’ulteriore analogia con gli scritti dell’autore e medico britannico.
Il mio timore è che, a lungo andare, questa somiglianza, invece di rendere particolare, caratterizzare il personaggio, lo trasformi in una blanda imitazione, privandolo di una personalità propria.
Piacevolmente complicato è, infine, il mistero da risolvere. Misericordia deve districare il bandolo della matassa scavando fra oscuri segreti di famiglia, relazioni segrete, ossessioni e manie di protagonismo e pericolosi desideri.
Ce la farà? Ovvio che sì, ma il come deve scoprirlo il lettore.

Cinzia Ceriani

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