La vicentina Suajens Miazzo, con il suo libro, La mia rosa bianca (Kimerik, pp. 122) vuole dare voce a chi voce non ha, vuole incoraggiare, dare forza e speranza a chi sta soffrendo a causa di abusi domestici. Il suo romanzo è un inno alla lotta e alla resilienza, ad alzare la testa e ad urlare BASTA.
Conosciamola meglio.
Buongiorno Suajens, e grazie del tempo che dedicherai a questa breve intervista. Intanto, giusto per conoscerci un po’, parlaci un po’ di te. Com’è nata la tua voglia di scrivere?
È nata, già da molto tempo, ancora da ragazza. A man mano che il tempo passava sentivo dentro di me il desiderio di aiutare le donne in difficoltà, e con il pensiero di non aver nessuna speranza. Non potevo tenere nascosto il dolore e le brutalità, ancora oggi tante donne e bambine subiscono abusi di qualsiasi genere. Con il mio libro voglio dare speranza e dire che tutte possono farcela. Basta rialzarsi, palare e non chiudersi in se stesse, noi tutte abbiamo il potere di farlo, e fermare le situazioni che possono ucciderti dentro. La vita va vissuta e non ci sono solo momenti brutti ma anche occasioni importanti da vivere appieno. Ho voluto dare voce a Sara per far capire che nessuna donna è sola, ci sono molte persone che possono aiutarle e proteggerle, e che danno amore incondizionato.
Una piccola curiosità: il tuo nome, Suajens, è molto singolare, è la prima volta che lo sento, da dove arriva?
Il mio nome è di origine orientale e so che il suo significato è Raggio di Sole. In chiesa, all’epoca, il mio nome non era consentito, quindi il mio nome di battesimo è Susanna. So comunque che si sta diffondendo, nel mio paese siamo in quattro ad avere questo nome. Mi fa sorridere, ogni volta che mi presento a qualcuno, perché rimangono increduli oppure non lo capiscono subito e devo ripeterlo, e sempre mi chiedono cosa significa e mi ritrovo così a dover ripetere le stesse cose.
Il tuo è un libro molto particolare, è un autobiografico. Racconta una parte molto dolorosa della tua vita. Tant’è che in quarta di copertina si legge “questa non è una storia inventata.” Come mai hai deciso di rendere pubblica la tua storia?
A trentasette anni cominciai a scriverlo su un quadernone, pensavo sempre che un giorno l’avrei pubblicato e così ho fatto, era il mio sogno nel cassetto. A quarantaquattro anni decisi di pubblicarlo. Quando sentivo alla televisione situazioni di abusi dentro di me sapevo di dover fare qualcosa nel mio piccolo, raccontando le vicissitudini di Sara per cercare di dare un po’ di conforto alle donne alle e bambine che si sentono sole, impaurite e non sanno come uscirne. Penso che se volessero parlarmi, ascoltarmi, sentire la mia voce in prima persona le accoglierei a braccia aperte, per cercare di dare aiuto e conforto, per inviare un messaggio di speranza a tutte le donne e le famiglie disagiate.
Qual è il messaggio che vuoi inviare? E a chi è rivolto il tuo libro?
Voglio far capire che dalle brutte esperienze si può uscire, e incontrare persone che ti capiscono e possono darti auto. Il libro è rivolto a tutti, perché credo che ancora oggi molte persone abbiano paura, si nascondono, o non riescono ad evadere dal tunnel in cui sono state scaraventate. Molta è la sfiducia nella giustizia, ma non sempre è fallimentare, per Sara non lo è stato. Dall’avvocato, che porterà sempre nel suo cuore, al maresciallo della Digos e ai giudici che hanno capito e visto il dolore, la sofferenza.
Quanto è stato difficile scriverlo?
Diciamo molto, perché riaprire ferite e ricordi e riaprire le emozioni è stato doloroso, ma anche liberatorio. E se devo dirla tutta, un messaggio di luce e speranza. Certo non è facile rientrare nel passato e rivivere il dolore, ma dovevo farlo, forse ero destinata a questo compito.
Cosa ti aspetti di ricevere in cambio da questo libro, che reazione speri di suscitare nei lettori, se è questo il tuo obiettivo?
Spero di far capire che ci si può risollevare e che oltre le persone che mi hanno aiutata, anche la giustizia ha fatto la sua parte.
So che stai già lavorando al secondo libro. Indiscrezioni, anticipazioni?
Ho appena iniziato e non so cosa anticipare per il momento, perché prima voglio scriverlo. Certamente parlerò delle persone che mi hanno sostenuta.
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