FEBO
Dolce e splendente Febo dagli innocenti occhi,
ricordo ancora oggi le nostre estatiche, comuni visioni,
della tua soave e onnipresente compagnia la gaia gioia,
del tuo infervorato cuore mi resta una confessione,
un racconto che pareva un grandioso poema.
Mio caro fratellino,
rievoco i tuoi gesti allegri, raffinati,
la tua sagace indole estroversa, sfavillante,
la tua voce calda, suadente,
che affettuosamente mi consigliava e sempre mi consolava.
Di un giorno in cui sotto il cielo grigio sospirasti,
le tue furtive lacrime a stento mi nascondesti;
e la tua elevata morale,
la tua cotanta virtù da te perennemente esaltata.
Se risollecito il pensiero,
abbasso le palpebre, ti rivedo,
ossequiosamente mi saluti in lontananza,
aulicamente agiti le braccia,
simpaticamente sorridi con il tuo ghigno accattivante.
Tu mi confessasti il tuo immenso affetto fraterno,
a te mi legasti, di me facesti tuo fratello,
avvicinando la tua anima alla mia, penetrandola,
afferrandola, sfiorandole le mani,
facendone la tua compagna di viaggio,
che conducesti in delle aulenti, esotiche mete,
ed essa esterrefatta ti seguì, incantata.
Oggi ricordo di quando di te mi narravi,
delle tue tumultuose vicende stravaganti,
novelle dove il protagonista era Eros,
dio a te caro e ognora venerato,
che ti colmava l’animo, le labbra e le membra,
ti accendeva, ti lasciava sgomento,
stranamente contento.
È ormai lontano il tempo del nostro sodalizio,
ora dopo tanto tempo e logorio,
se ricordo che proferisti:
“Ora devo andare, ti devo lasciare,
il carro del Sole devo andare a guidare!”
Devo io nascondere delle furtive lacrime,
perché mi augurasti:
“Durante la mia assenza, gioisci!
Sorridi, mi raccomando, sorridi!”
Mi salutasti calorosamente,
mi mostrasti altero il tuo dignitoso, teso ardore,
e infine andasti a espletare la tua mansione.
Non serve asciugare le mie furtive lacrime,
la mia anima emana un tremendo miasma,
e le mie gote ancora vengono rigate.
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