La memoria del mare di Tania Piazza

(E poi arriva sempre la marea, a rimescolare i ricordi.)
Del funerale di tua mamma, mi tornano in mente le mie unghie rosse. Le tue mani bianche e l’assurdità di quel rosso così irriverente, mentre te le stringevo. Non ti vedevo da qualche tempo e per quell’occasione mi ero preparata come per un grande ballo. Ero convinta che, pur nel dolore del momento, non avresti avuto occhi che per me. Il mare era calmo, quella mattina, vicino alla chiesa. Io, invece, ero agitatissima e ho provato e riprovato i vestiti per più di un’ora, davanti allo specchio della camera, senza sapere cosa scegliere. Mi sembrava tutto inappropriato, e pensandoci adesso non posso che sorridere della mia ingenuità: stavo attenta a non sembrare fuori luogo per non urtare in qualche modo la tua sensibilità, ma mi ero fatta tingere le unghie di quel rosso sfacciato. Credo volesse significarti il mio amore, così vivo per te. Ma solo io l’ho capito. Ci sono voluti altri due anni, poi, perché lo capissi anche tu. Ma non so se tutto sia partito da quel cuore che batteva forte, disegnato sulle mie unghie. A sentire te, non le hai neppure guardate. Dopotutto, abbiamo sempre visto le cose dai due opposti, io e te. Il giorno e la notte. Il bianco e il nero. Ecco il segreto del nostro amore. Che non abbiamo mai perso tempo a guardare nella stessa direzione, tanto gli occhi dell’uno vedevano anche per l’altro. Ce li prestavamo, quegli occhi. Tu di qua, io di là. Senza fronzoli. Come oggi, qui, su queste seggiole in riva al mare.
– onda –
Dell’arrivo della tua malattia, invece, ricordo la mia rabbia. Che se dovessi colorarla, avrebbe lo stesso rosso delle mie unghie, al funerale. Un bel giorno, qualcuno vestito di bianco ti dice che un male cattivo sta prendendo dimora dentro al cervello di tuo marito. Nel mio luogo prediletto, quello che ho sempre amato di più: la tua testa. I tuoi ragionamenti, i tuoi ricordi, i tuoi racconti, la tua vita. In mezzo a tutto questo, d’un tratto, ecco arrivare un nuovo inquilino, che richiedeva spazio inesorabilmente, ogni mese di più. Non si può non essere arrabbiati, di fronte a tutto questo. Ma tu, invece, guardavi le cose dal lato opposto. Mi dicevi che ti piacciono le sfide, e che questa poteva essere un modo diverso per metterti alla prova. Chi vincerà oggi?, mi ripetevi ogni mattina, al risveglio. All’inizio, avevo finito per crederti. Avevi ragione tu: sembrava non esserci nulla di nuovo, dentro alla tua testa. Il tuo solito grande amore per me e per la vita che abbiamo sempre vissuto. Nulla più.
– onda –
E se lo urlo al vento, il mio nome, adesso? Lo riconosci? Lo appoggio su quell’onda che vedo giungere da lontano, così te lo porterà qui a riva e avrai tempo e modo di provare a ricordare. Arriverà tra qualche secondo, vedrà il tuo viso rivolto alla spiaggia e alla gente che la anima, rimarrà sospeso per qualche attimo nella speranza che tu ti giri e che gli sorrida, e poi, come accade ogni giorno, se ne tornerà indietro sconsolato, per perdersi nel mare. Il mio nome nel mare. Una volta, se ne stava saldamente ancorato dentro alla tua testa. Oggi, lo lasci andare nel mare.
– onda –
E’ sempre stata l’estate, la tua stagione. E anche la mia. Ma io sono innamorata del blu. Tu, delle persone. Vedere le facce di chi passava e immaginare le loro storie: i tuoi racconti inventati hanno riempito i miei silenzi. Le nostre seggiole sullo stesso posto, i miei occhi a guardare il mare e l’infinito, i tuoi alla ricerca dei personaggi più strani. Ogni giorno mi ripromettevo di portarmi un taccuino, per prendere nota delle tue storie. Ma la mia paura era quella di perdermi i particolari, per riuscire a starti dietro con la scrittura: erano fiumi veloci e impetuosi, quelli che uscivano dalla tua bocca. Ed era davvero bello stare ad assaporare le sfumature che dipingevi a ogni viso, a ogni storia. Oggi, mi odio per non averlo mai fatto. Potremmo starcene qui, ora, ad ascoltare ancora quei racconti, nelle mie letture. Ora che non parli più. Ora che il silenzio che ci tiene stretti mi sembra più grande dell’infinito mare.
– onda –
Anche quando penso a cosa ci porterà il futuro, siamo diversi. La tristezza che si è sedimentata in me, a tratti spinge fuori, anche se non vorrei. Mi colora gli occhi di grigio, me ne accorgo guardandomi allo specchio. Mi soffermo poco, in quei momenti, a osservarmi: non mi piace vedere la sconfitta, la strada che le ho lasciato compiere su di me. Mi ripeto che devo sforzarmi di essere bella, per te. Sorriderti sempre, con gli occhi e con il cuore. Mi faccio dipingere le unghie di rosso, anche, a volte. Il mio amore è sempre lì. Ma poi ti guardo. Mi chiedo cosa è rimasto di te, qui con me. E, soprattutto, dov’è andato, tutto ciò che se ne è andato via. Se esiste un luogo dove, ogni tanto, si possa andare a riprendersi un po’ di vita. Di ricordi. Di sentimento. Lo cerco tra le onde del mare, quel luogo. Tra i riflessi d’argento che il sole lascia, qua e là. Il tuo sorriso una volta era così brillante che potrebbe starci lui, su quelle onde. La tua vitalità così potente, da poter colorare di bianco la schiuma con cui il mare giunge alle nostre seggiole. Vorrei alzare le tue spalle, che si ricurvano sotto il peso di ciò che ti ha lasciato. Bruciare quel bastone che ti aiuta a camminare. Accendere una luce dentro ai tuoi occhi, perché vedano di nuovo veramente. Ma tu, guardi le persone. Dai le spalle al mare, ancora. Fai vagare il tuo sguardo, in cerca, forse, di un viso che ti rammenti un brano dei tuoi racconti passati, il protagonista delle tue vite immaginate. Continui, imperterrito, a fare ciò che hai sempre fatto. E te ne freghi del mio senso di sconfitta. Del grigio nei miei occhi. Del rosso sulle mie unghie. Del mio esser bella, per te.
– onda –
Ecco il segreto della nostra storia. Avere qualcuno che vede le cose in modo diverso dal tuo. Il bianco e il nero. Il giorno e la notte. La tristezza e la speranza.
Grazie, amore mio.

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