E’ da un po’ che non ospitiamo un autore nella nostra rubrica, e mi dispiace perché so che è molto apprezzata. Il tempo, spesso che manca, e i numerosi impegni sia miei che degli autori non concedono sempre il modo di poter organizzare e gestire tutte le rubriche. Oggi però vogliamo dare la parola ad un autore per me molto significativo: intanto perché è un mio ex collega a Il Giornale di Vicenza, il più importante quotidiano vicentino e uno dei più seguiti del Veneto, e in secondo luogo perché il suo romanzo d’esordio, il noir Sto bene qui (Casa editrice Kimerik), è ambientato nella mia città d’adozione, nonché d’origine di Eugenio. Si colloca nella periferia, in quella frazione, in quel grande quartiere nato decenni or sono sull’incalzare dell’industrializzazione, divenendo un crocevia di vite, di situazioni, di cittadini del Sud Italia che, allora, venivano qui al Nord in cerca di lavoro, e ora di stranieri, bangladesi e africani che popolano i “palazzoni” di Alte Ceccato, così si chiama.
Bando alle ciance. Volete conoscere Eugenio? Allora non perdetevi quest’intervista.
Eugenio Marzotto, 47 anni, vive ad Alte Ceccato, frazione di una cittadina nella provincia di Vicenza, non lontano da fabbriche abbandonate, sale scommesse e catene di kebab. È giornalista per Il Giornale di Vicenza.
Parlaci un po’ del tuo scrivere, Eugenio. Dal giornalismo alla narrazione il passo è stato breve?
Abbastanza, nel fare il giornalista ho sempre privilegiato le storie dei personaggi e così ho fatto anche per Sto Bene Qui. Sono partito dal profilo dei protagonisti per tessere la trama.
Ecco, quindi chi è Eugenio Marzotto?
Semplicemente una persona a cui piace osservare, l’umano mi ha sempre affascinato, il problema è avere gli strumenti per analizzarlo.
Il tuo romanzo è ambientato nella periferia di una modesta cittadina vicentina. Com’è nata l’idea?
Modesta nel senso di piccola. Ma Alte Ceccato ha un’unicità, almeno in provincia di Vicenza, fin dai tempi antichi quella zona è stata terra di passaggio, di migrazione da est a ovest, da nord a sud. E questo ha provocato grande energia, sia nell’ambiente urbano che nelle comunità. In fin dei conti basta fermarsi a guardare e le storie nascono da sole.
I fatti che narri e i personaggi che si incontrano nel tuo romanzo sono frutto di fantasia o, visto che sei giornalista, prendono anche spunto dalla realtà con cui hai avuto a che fare per molti anni in cronaca?
Molto deriva dai fatti di cronaca che ho vissuto da giornalista, i personaggi traggono tutti da volti reali, da persone che esistono. Io poi ho modificato nel libro le loro vite, è stato divertente. Mi capita di vederli per strada o in qualche bar e pensare a come li ho trasformati nel libro.
Cosa ti ha insegnato il tuo romanzo, i tuoi personaggi?
Che la scrittura è fatica, ci vuole grande rispetto per la letteratura e per gli stessi personaggi che si raccontano, anche se inventati. Sono anime che crescono nelle pagine, ma nella mia testa sono reali.
La soddisfazione più grande che hai ricevuto dopo la pubblicazione del libro?
Sapere che è stato acquistato da persone insospettabili. Lettori occasionali che volevano entrare in questa storia, sapere che degli sconosciuti leggono il mio romanzo mi riempie di soddisfazione e curiosità.
Qual è il messaggio che vuoi trasmettere ai lettori?
Ho voluto analizzare il male, capire come le personalità possano cambiare con il mutare degli eventi. C’è un’attrazione tra il bene e il male in questo libro che ha accompagnato tutte le mie pagine. Nessuno è quello che si manifesta.
Progetti per il futuro?
Mi godo l’uscita del libro ma mi piacerebbe vedere Sto Bene Qui a teatro, rielaborandolo per una compagnia.
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