Home » La struttura dell’iki di Kuki Shuzo
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Credo di poter affermare che questo sia stato un mio primo, faticoso passo verso l’avvicinamento alla letteratura giapponese a me, purtroppo, di difficile approccio. Per me la letteratura nipponica, e asiatica in generale, risulta davvero ostica e non è che non ci abbia provato ad avvicinarmici in diversi modi. Con La struttura dell’iki di Kuki Shuzo (Adelphi, pp. 180) ce l’ho finalmente fatta, ma non è stato affatto facile, anzi. Per più di un motivo. In primis perché si riferisce alla letteratura giapponese, appunto, e poi perché si tratta di un saggio, genere con cui non sono mai andata proprio d’accordo e che sto imparando ad affrontare un po’ alla volta a piccoli passi. Il testo, devo essere onesta, non è semplice per chi è a digiuno di cultura nipponica, occorre essere ferrati su alcuni concetti e tradizioni, modi di pensare e conoscere almeno un minimo la storia di questo paese. Più volte, nel corso della lettura sono dovuta ricorrere al glossario al termine del volume. Alcune pagine volavano via leggere, caratterizzate da una lettura agevole e veloce, altre invece, soprattutto quelle riguardanti i legami dell’iki con gli aspetti meramente linguistici, ho sudato un po’. Comprendere che cosa sia esattamente l’iki non è semplice, né lo è spiegarlo. Penso che si possa ritenere uno stile di vita, un modo di rapportarsi con gli altri in situazioni amorose, o comunque fisiche, in cui la seduzione e l’attrazione sono protagoniste indiscusse (soprattutto le donne nei confronti degli uomini, le prostitute). Per essere tale, ovviamente si traduce in tutta una serie di gestualità, atteggiamenti, scelta di abiti, acconciature, trucco e peculiarità fisiche, di parole scritte e parlate, di linee e disegni artistici ben definiti e dai parametri piuttosto rigidi, e per descriverli l’autore non risparmia critiche e frecciatine ai modi “rilassati” e “sciattoni” (non è proprio il termine usato dall’autore ma è ciò che traspare dalle righe) dell’Occidente. Un vago senso di “superiorità” dell’Est dei confronti dell’Ovest era quello che a tratti percepivo. Il volume è, infine, arricchito da alcune immagini esplicative, foto e dipinti molto belli a supporto della parte scritta. È stata una lettura interessante anche se faticosa, che mi ha però insegnato qualcosa in più sul Giappone, mi ha insegnato che in ogni gesto, in ogni scelta, in ogni particolare vi è dietro un significato, che nulla, in questa terra così misteriosa e diversa da noi, viene lasciato al caso, ogni dettaglio è preciso e calcolato, ricco di un interesse inequivocabile, e forse è proprio questo che fa del Giappone… il Giappone.

Cinzia Ceriani

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