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Nel corso della storia l’uomo si è reso responsabile di ogni tipo di crudeltà, violenza, sopruso, e la cosa peggiore è che di tantissimi di questi eventi non se ne parla, con il rischio, se non è già accaduto, che vengano obliati, che cadano nel dimenticatoio della storia o, peggio ancora, siano relegati nella sdrammatizzazione, quell’assurda giustificazione che fa dire “be’ ma questo è stato peggio di quello.” No, sbagliato e rischioso. Troppo rischioso. Uno di questi enormi eventi di cui, a mio avviso, non si parla abbastanza, se non addirittura per nulla, è la guerra sino-giapponese avvenuta dal 1937 al 1945, quando a essere invasa dalla crudeltà dell’esercito giapponese guidato temibile imperatore Hirohito non è stata solo la Cina, ma anche la Manciuria, la Malesia, l’Indonesia e la Corea con il chiaro intento di assoggettare l’intera Asia. Uomini senza scrupoli che, come la loro controparte occidentale, non esitavano a eseguire esecuzioni sommarie, torture e violenze di ogni tipo. Saccheggi, rastrellamenti, campi di detenzione e di sterminio in cui venivano svolti esperimenti medici sui detenuti, stupri e rapimenti di donne, ragazzine e bambine da destinare ai bordelli di soldati e ufficiali nipponici dopo essere state strappate alle proprie famiglie. Donne di conforto, venivano chiamate. Schiave legalizzate e istituzionalizzate del sesso. Questo libro fa male, il dolore di Sangmi entra sottopelle e scava fin nelle ossa, si trema e si piange con lei. E fa male perché non è un saggio ciò che si sta leggendo ma, come afferma in prefazione Juliette Morillot, l’autrice di Le orchidee rosse di Shanghai (Newton Compton, pp. 480), si tratta della storia, ispirata a fatti realmente accaduti, frutto della raccolta di numerose testimonianze, di una di queste donne, un’adolescente coreana che ha vissuto sulla sua pelle la violenza, gli stupri, la detenzione, gli orrori di una delle più atroci guerre asiatiche. E non solo Sangmi: Mikiko, Kaneko, Kinu, Ah Meng, Piccola Peonia, Spada di Giada. Nomi inventati, certo, ma di sicuro non lo erano le (tante) donne che nel romanzo rappresentano. Donne trasformate in meri “oggetti di consumo” di cui l’esercito del Sol Levante poteva disporre senza alcun limite, né pietà. È un libro forte e intenso, commovente, che regala emozioni vivide, soprattutto in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, con la guerra e le sue conseguenze di nuovo alle nostre porte. È un romanzo terribile e bellissimo allo stesso tempo, una verità importante e necessaria in cui la protagonista ne passa di ogni, da una crudeltà a un’altra, da un lutto all’altro senza tregua. E forse, ora della fine della lettura, è un po’ troppo, ci si sente oppressi, schiacciati. È giusto parlare, conoscere e ricordare i terribili momenti storici che ci hanno toccato da vicino, ma è anche giusto non dimenticare gli altri, quelli che pensiamo magari meno importanti o più lontani da noi geograficamente. Vi siete mai chiesti perché alcune guerre, alcuni crimini, alcune atrocità vengono riconosciute e ricordate a livello internazionale e altre no? Nelle librerie, nelle scuole, nelle case dovrebbero esserci più libri come questo.

Cinzia Ceriani

2 thoughts on “Le orchidee rosse di Shanghai di Juliette Marillot

  1. Suppongo che sia solo perché si tiene conto delle vittime decedute e sulla loro identità nazionale. Se pensiamo ad un conflitto bellico, la prima cosa che ci viene in mente sono le persone di fede ebraica durante la Seconda guerra mondiale, ma non contiamo gli altri gruppi etnici, e ce ne sono.
    Il fatto è che l’umanità è brava a obliare le proprie atrocità.
    Noi italiani, ad esempio, escludendo i conflitti mondiali, troppo estesi per passare inosservati, parliamo difficilmente delle nostre atrocità perpetrate durante l’espansione colonialista. Molti non sanno da cosa deriva il termine ‘ambaradan’, che utilizziamo per descrivere una gran confusione; questo deriva dalla battaglia di Amba Aradam avvenuta durante la guerra d’Etiopia. C’è un altro evento simile, pressoché sconosciuto, che è l’eccidio avvenuto a Sciarasciat (Libia – 1911), fatto riportato direttamente da Paolo Valera nel suo scritto, corredato di immagini, dove riporta quello che realmente è accaduto; lui ne è testimone diretto, ed è curioso scoprire che in genere si parla solo delle vittime italiane, ma non della crudele rappresaglia subita dai Libici.
    Per chi fosse interessato il libro, da me revisionato, è disponibile gratuitamente nella libreria di Liber Liber.
    https://www.liberliber.it/online/autori/autori-v/paolo-valera/le-giornate-di-sciarasciat-fotografate/

    1. Ciao Raffaele! Che bello leggerti sul mio blog! Purtroppo quello che dici è vero, hai pienamente ragione. La storia la scrivono i vincitori, viene mostrata sempre e solo un’unica faccia della medaglia, quella più conveniente e accettabile, tralasciando volutamente i metodi e le crudeltà usate dai “vincitori”. Delle vicende dell’Amba Aradan, lo sapevo anche io, così come dei massacri libici (mi piace la storia, mi interesso molto), ma ciò che più mi preoccupa è che certi crimini, certe scempiaggini non sono riconosciute neppure dalle istituzioni. L’argomento di questo libro, ad esempio. Ancor oggi il governo giapponese fatica ad ammetterlo, così come, altro esempio, il genocidio degli Armeni o del Ruanda non sono considerati tali. E’ assurdo. Mi fa piacere che tu abbia citato il tuo lavoro a Liber Liber e, se LiberoVolo può contribuire in qualche modo o collaborare, anche solo per pubblicità, scrivimi pure! Cinzia

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