Sfatiamo subito un mito, ingiusto per altro. NON è assolutamente vero che chi sceglie il selfpublishing è un autore di serie B, un incompetente che non farà mai strada. Quante volte avete sentito, o magari anche pronunciato la frase “io i self non li leggo”? Una pubblicazione di ripiego per scrittori “fuffa” che sono stati rifiutati dalle case editirici. NON è vero. Intanto va detto che pubblicare con una casa editrice non è sempre sinonimo di qualità, e per secondo, non mi stancherò mai di ripeterlo, va specificato che a fare il successo di un libro non sono le case editrici ma i lettori.
A riprova di ciò che ho appena detto, se andate a curiosare un po’ in giro, basta internet in questo caso, scoprirete che molti grandi scrittori del passato hanno scelto di autopubblicarsi. E non solo loro, anche autori contemporanei. Qualche esempio?
Edgar Allan Poe nel 1827 autopubblicò le sue prime poesie in un volumetto di 40 pagine intitolato Tamerlane and Other Poems; stessa cosa la fece anche Nathaniel Hawthorne con il suo primo romanzo, Fanshawe. La primissima, breve edizione di Foglie d’erba, Withman, nel 1885, scelse di stamparla in autonomia. Sulla stessa onda anche l’inglese “papà” di Alice nel paese delle meraviglie, Carroll. Infatti, dopo averne stampata una copia da regalare alla sua giovanissima amica, musa ispiratrice della sua storia, Alice Pleasance Liddell, scelse di autoprodurre le due successive edizioni, quando capì che la storia aveva del potenziale. Nei primi anni del ‘900 anche Marcel Proust, dopo essere stato rifiutato da diverse case editrici, optò per il selfpushing. A questi autori fecero eco Giovanni Verga, il cui primo e minore romanzo, I carbonari della montagna, gli costò mille lire, Gabriele D’Annunzio, Italo Svevo (Senilità), James Joyce (Ulisse), Gothe, Dickens, Shiller, Tolstoj persino.
Certo, mi direte voi, facile nei secoli scorsi, la letteratura era considerata in modo diverso, ma oggi?
Be’, oggi tra i selfpublishing troviamo, per lo meno per quello che riguarda i loro esordi, l’italiana Anna Premoli, vincitrice del Premio Bancarella 2013, la famosissima E. L. James (Cinquanta sfumature di grigio), Massimo Bisotti, Elisa S. Amore (Saga Touch), Huge Howey (saga Wool), Lisa Genova (Still Alice), Moravia (Gli indifferenti), Pasolini (Ragazzi di vita), Federico Moccia (Tre metri sopra il cielo)
Quindi, perché demonizzare? Pensate cosa sarebbe successo se gli autori sopra citati non avessero scelto di credere in se stessi autofinanziandosi. Probabilmente molti di essi non li avremmo mai conosciuti. Gli scrittori, è vero, non sono più quelli di una volta, ma neppure gli editori, sia in termini di qualità che di quantità. Oggi, rispetto ai tempi andati, ci sono più scrittori che lettori e le ce sono letteralmente subissate di proposte, una varietà infinita di testi, e non è sempre facile scegliere, soprattutto se ognuno di questi testi ha la pretesa, o meglio, la speranza, di essere pubblicato senza investire un centesimo. Ora, a voler fare l’avvocato del diavolo, considerando i costi di pubblicazione, le tasse, i dipendenti e i collaboratori da pagare e la quantità di materiale che quotidianamente arriva sulle scrivanie delle ce e che magari hanno anche del potenziale… credete davvero che un’azienda, perché questo sono le ce, possa solo assumersi oneri senza ritorni non dico sicuri, ma quasi? E con cosa campano? Hanno anche loro un bel rischio ogni volta che pubblicano un esordiente, un autore non conosciuto. Venderà? Ad ogni modo, sto divagando, questo è argomento per un prossimo articolo. Ne riparleremo.
Un buon compromesso, comunque, tra una sorta di self publishing senza rinunciare ad avere un marchio editoriale in copertina sono le ce (SERIE, PERO’) che propongono l’acquisto di un tot numero di copie da parte dell’autore (che poi può rivendere in sede di presentazione e riguadagnare, in parte, ciò che ha inizialmente speso). Ma ci ritorneremo anche su questo.
Quali sono i pro e i contro del selfpublishing?
PRO:
– la piena e assoluta libertà di gestione del proprio romanzo o del proprio testo o delle proprie poesie (il 90% delle poesie moderne è autopubblicato), dai contenuti allo stile (sempre rispettando la grammatica, un adeguato impianto narrativo e le sequenze logico temporali per evitare buchi di trama, strafalcioni, ecc. Un buon editing va comuqnue fatto, i lettori si meritano la qualità: forse è anche per questo che alcuni snobbano i self?), dall’impaginazione all’immagine di copertina (attenzione al copyright), dai costi alla promozione. Siete liberi, slegati da qualsivoglia contratto editoriale e potete fare ciò che volete. Inoltre nulla vi vieta (tranne le ce che accettano solo testi inediti) di proporre il vostro romanzo alle case editrici in un secondo momento.
CONTRO:
– l’impegno. Non che non ci debba essere un vostro impegno anche qualora pubblicaste con una casa editrice, ma è vero anche che se non siete voi stessi i primi a credere in ciò che scrivete, come potete pensare che lo facciano gli altri, soprattutto chi non vi conosce? Cosa vuol dire quindi impegnarsi? Significa che il vostro lavoro di scrittore non termina né una volta scritta la parola fine sul testo, né una volta pubblicato, il testo. Dovrete pertanto “servire” un prodotto di qualità, privo di errori, refusi, strafalcioni, buchi di trama o con un impianto narrativo debole o incerto (selfpublishing non è sinonimo di sciatteria); dovrete cercare un’immagine appropriata e accattivante per la copertina e promuovere il vostro lavoro con i social, con iniziative, con post e contenuti, presentazioni (Covid permettendo), foto e tutto ciò che vi passa per la mente (questo dovreste farlo anche con una ce alle spalle)
Come fare per autopubblicare?
Semplice. Rivolgendosi ad una qualsiasi copisteria oppure, meglio, alle piattaforme web più conosciute, che vi guideranno passo passo nei vari step.
Ecco qui sotto qualche nome:
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