Le stagioni che danno il titolo a quest’opera di Paolo Barbaro non sono solo quelle del tempo, ma anche – e soprattutto – quelle dell’anima, del corpo, della vita. Nella prima parte del dittico, Dario, assicuratore quarantenne con moglie e fi gli, insegue il desiderio e l’ardore perduti lasciandosi rapire da Bruna, che due pomeriggi a settimana, dopo il lavoro, lo aspetta nella casa di Sant’Elena, a Venezia. Nel susseguirsi della dolce monotonia amorosa, basterà però un piccolo cambiamento a spezzare l’incantesimo dell’idillio. Nella seconda parte, il protagonista ormai anziano, che la malattia costringe a un’immobilità sempre più definitiva, osserva il mondo dal suo ultimo riparo nella città lagunare: la casa. È una cronaca della fi ne, un consapevole e sereno accomiatarsi dalla realtà che lo circonda, mentre la sua realtà si riduce sempre più a una stanza, alla voce della moglie, al saluto di un amico, ai vividi ricordi che tornano a fargli visita da un passato lontano. Nel dipanarsi di queste ondate di racconti e memorie, Venezia si manifesta ancora una volta come vera, vitale protagonista. Con ponti, canali, campielli, giardini segreti e terrazze sul mare, ordisce trame e incrocia destini, favorendo incontri, spaesamenti, addii. L’acqua alta si fa allegoria della fi ne che incombe, anche se pagina dopo pagina è un’altra metafora – di speranza – a imporsi. Nel suo invecchiare, l’uomo somiglia infatti a quella Sant’Elena tra le cui calli Dario rincorre una passione che credeva perduta: vede cambiare la sua forma esteriore, proprio come è accaduto all’isola nel corso del tempo, ma dentro di sé rimarrà per sempre un essere inquieto, affascinato dalla bellezza e in cerca d’amore. Le due stagioni è un’elegia alla meravigliosa e immutabile brevità del tempo umano, celebrata nello scenario di una città immortale.